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RIFLESSIONI SULL'ACCOMPAGNAMENTO EMPATICO

Ci sono molti momenti della nostra vita in cui ci viene chiesto di confermare l'amore che abbiamo per il nostro animale. Il momento della sua morte è uno di questi.

Anzi, a dirla tutta, all'interno della nostra reciproca esperienza di vita, che si snoda lungo sentieri a volte tortuosi e impegnativi (malattie, interventi chirurgici, piccoli o grandi incidenti quotidiani), il momento della sua morte assume per ognuno di noi un significato unico e irripetibile.

Con la morte del nostro animale finisce un ciclo della nostra vita. 

È davvero troppo riduttivo pensare che questo essere senziente che ha dedicato a noi l'intera sua esistenza possa essere considerato solo qualcosa che "semplicemente" ci ha tenuto compagnia, alla stregua di un interminabile programma televisivo a puntate.

Se così fosse, la sua morte non sarebbe una questione così importante: se è la compagnia che ci serve, possiamo benissimo sostituirlo con un altro animale che svolgerà la sua stessa funzione.

Ma così non è; e lo sappiamo tutti.

Lo sappiamo, e lo riconosciamo, proprio a partire dal fatto che ognuno di noi, spontaneamente e culturalmente, allontana da sé il più possibile i pensieri che riguardano questo evento, per poi trovarsi, spesso anche improvvisamente, trascinato in un vortice emozionale, sballottato dalla propria insicurezza ed impotenza.

La morte di questo nostro "compagno di vita" è davvero il momento più difficile e intenso del rapporto che ci lega.

Culturalmente l'unica proposta esistente è rappresentata dall'eutanasia. E davvero non c'entra nulla esservi favorevoli o contrari per principio, perché è spesso il veterinario stesso a proferire minacciose profezie di sicure sofferenze per l'animale che sembrano avere come unica soluzione possibile la "puntura".

Ma cosa implica questa azione nei confronti dell'animale? E come risuona dentro alla nostra relazione? Cosa rimane, dentro di noi, se scegliamo la strada dell'eutanasia? E in cosa consiste l’altra scelta, quella dell'accompagnamento empatico?

Accompagnare empaticamente il proprio animale alla fine della vita significa, per prima cosa, sperimentare l'empatia. Rispetto alla scelta che siamo chiamati a fare: "eutanasia sì/eutanasia no" l'empatia ci aiuta ad entrare  in un universo in cui alla classica riflessione: "cosa farei io se fossi al suo posto?" se ne  sostituisce un’altra, semplice e profondissima:  “cosa  vorrebbe lui?".

Se cerchiamo di entrare nel suo mondo portandoci appresso le nostre credenze, i nostri pensieri e le nostre paure, non riusciremo mai a percepire cosa lui vuole veramente; occorre invece abbandonare tutta una serie di costruzioni tipicamente umane che con la sua esperienza (è un animale e non un umano, dunque l'eutanasia non appartiene al suo mondo) non c'entrano davvero nulla.

Accompagnarlo empaticamente a morire serenamente, senza dolori, nella sua cuccia, circondato dall'amore di chi gli ha voluto bene in vita, richiede di sperimentare interiormente stati liberi da emozioni distruttive, tali da consentire all'animale (che, ricordiamo, è per natura empatico) di lasciarsi andare alla più grande trasformazione della sua vita.

L'animale sa come si muore. Per noi, oggettivamente, è più difficile e complesso, perché a questa conoscenza antica si è sostituito perlopiù il tabù della morte; e tuttavia la sua morte diventa per noi un’occasione di riappropriarci di questo sapere. 

L'animale sa come morire perché è legato alla forza della Natura, ai suoi ritmi, al suo divenire profondo, alla sua eterna ciclicità.

Dentro di lui ogni cellula, ogni tessuto, ogni organo risuona con quell'intelligenza cosmica che definisce i tempi e i modi del nascere e del morire.

Quale grande occasione abbiamo davanti, e quale splendida opportunità potremmo sprecare seguendo la consueta, fredda via dell'eutanasia, dettata dalla paura delle sofferenze del nostro amico animale e dal nostro senso di inadeguatezza!

E che meraviglia scoprire, invece, che possiamo accompagnarlo in modo naturale, che l’assenza di dolore in lui è legata al nostro modo di essere! E che persino se siamo titubanti su questo punto, immaginandoci incapaci di accompagnarlo, esistono comunque cure palliative per gli animali, così come ne esistono per gli uomini!

L'accompagnamento empatico non segue dei protocolli, delle azioni che vanno bene per tutti.

Ogni animale è un mondo a sé e quindi anche ogni accompagnamento è un'espereinza unica.

Quali possono essere dunque le linne guida?

Sviluppare qualità interiori che permettono all'animale di morire serenamente.

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