Il mio Natale iniziava il 24 novembre e quindi quasi un mese prima. Come mai direte voi? Ebbene per tutti noi reggiani proprio quel giorno si festeggia il santo protettore della città: San Prospero.
Le scuole e tutte le attività, esercizi commerciali compresi, erano rigorosamente chiuse e gran parte della popolazione si trovava in tarda mattinata a passeggio nelle strade cittadine per seguire poi la Messa nella chiesa dedicata al Santo e acquistare i primi regalini e gli addobbi nelle tante bancarelle colorate che riempivano la piazza antistante la basilica.
I profumi erano quelli delle caramelle, dello zucchero filato, delle mele candite, del cioccolato. Non c’erano negli anni 70 Fast Food o i bar così come li intendiamo oggi, ricchi di ogni ghiottoneria e di ogni tipo di bevanda fredda o calda. Al limite si arrivava, ma non tutti in tutti, alla cioccolata in tazza.
Di ritorno a casa, insieme ai miei genitori, infreddoliti ma carichi di entusiasmo, si iniziava la costruzione dell’albero di natale. All’epoca era da noi sempre finto. Quando veniva tolto dal sacchettone di plastica tutto impolverato dopo un anno in soffitta, il povero abete aveva un aspetto veramente malandato.
Poi piano piano con pazienza e amore si prendevano i singoli rametti e si aprivano, si drizzava la punta, si installava il supporto alla base per tenerlo in piedi il quale veniva ricoperto da carta stagnola per non farlo notare visto che era un semplice treppiede di ferro.
Quindi si cominciava insieme alla mamma la decorazione. Prima le lucine che inevitabilmente, tutti gli anni, non funzionavano mai al primo colpo. Bisognava chiamare il papà che si era appena seduto in poltrona a fumare la sua pipa e chiedergli una mano. Ogni singola mini lampadina era tolta e reinserita per capire quale si fosse rotta o fulminata perché se una sola non si accendeva, l’intera fila rimaneva al buio. La domanda che io mi facevo era sempre la stessa: come mai quando le avevamo riposte si illuminavano tutte e ora no? Un mago birbone forse le aveva accese in soffitta durante le lunghe notti che portavano alla primavera?
Prima o poi la povera lampadina difettosa veniva trovata, tolta e sostituita con quelle di scorta sempre presenti nella confezione.
Poi si iniziava con gli addobbi che erano sia le vecchie palline di vetro luccicanti e frangibili sia dei piccoli lavoretti manuali che noi bimbi facevamo a scuola nei mesi precedenti.
Alla fine l’albero era pronto per l’accensione. Si spegnevano le luci in casa, poi tutti lì vicino davanti al povero abete finto che da brutto spelacchione era diventato un vero e proprio albero di natale e si attaccava la spina……..e via le lucine colorate illuminavano la stanza. Quanta gioia, quante emozioni.
Il 13 dicembre Santa Lucia iniziava ufficialmente al risveglio con il primo regalino da scartare. Di solito lo trovavo vicino al letto la mattina. Quanto amo Santa Lucia. Era per me una vera anticipazione, una prova del giorno più bello dell’anno: il 25 dicembre.
Da quel giorno in poi sotto il nostro alberello si accumulavano i pacchetti regalo. Mia madre era una vera e propria incartatrice seriale. Qualsiasi cosa acquistasse dal 25 novembre al 24 dicembre per noi o per la casa veniva ammantata dell’aura di “regalo” di natale. Un paio di calzettoni, un mestolo, le ciabatte morbidose, una sciarpa, tutto finiva lì sotto così che il 24 dicembre trovavamo decine e decine di pacchetti da scartare.
Perché noi li aprivamo proprio quella sera, la vigilia quando, come una vera famiglia, ci riunivamo a cena non nella solita cucina ma in sala, nel tavolo ottagonale con la tovaglia rossa, le candele bianche e i mille addobbi che mia madre appendeva dappertutto in casa.
Ricordo ancora un signore che entrò un giorno per fare un piccolo lavoretto di manutenzione che non credeva ai suoi occhi. Dappertutto dall’ingresso, sulle scale, sulle porte, vicino ai quadri, sui lampadari c’erano appesi delle sgargianti e colorate decorazioni natalizie che si muovevano ritmicamente con i movimenti che chi ci passava accanto faceva fare loro.
La mattina del giorno di Natale ci preparavamo per la Messa e poi di seguito il pranzo a casa dei nonni.
Ricordo ancora, per le scale, il profumo dell’aceto che mi fa piangere gli occhi e nello stesso tempo venire l’acquolina in bocca visto che loro avevano una fiorente aziendina di sottaceti la PrimaVera.
Si entrava in casa, e si veniva inondati dal calore. Mia nonna era nella cucina nebbiosa per il vapore dell’acqua in bollore, di pentole, di stoviglie, di profumi e mio nonno nella grande sala dove stava tenendo viva la fiamma del caminetto in cui aveva gettato le bucce dei mandarini per dare all’ambiente un aroma indimenticabile.
Nell’aria la musica natalizia che proveniva da un antico ma spettacolare stereo a torretta il primo che io vedevo all’epoca. I dischi, come in un Juke Box, erano impilati e uno per volta scendevano sul piatto dove la puntina gracchiando iniziava il suo lavoro di trasformazione di un piccolo solco in canto.
L’abbraccio caloroso con la nonna che come sempre, nonostante il lavoro per la preparazione del cibo e della tavola, era bellissima ed elegante, con il suo profumo di marca, gli orecchini, perfettamente truccata, splendida.
Poi il nonno che cominciava a raccontare le sue barzellette e le storie della sua gioventù.
A uno a uno arrivavano gli invitati. I fratelli, le sorelle dei nonni e mia zia.
Io ero spesso l’unica bimba perché i miei cugini all’epoca non erano ancora nati e questo mi rendeva sempre quella su cui si riversavano tutte le attenzioni della tavolata.
Le donne seguendo un imperativo generatosi nella notte dei tempi si affollavano vicino ai fornelli e alla cucina economica che il fuoco vivo della legna scaldava come fosse una fornace infernale, mentre gli uomini erano intrattenuti dal nonno seduti sulle poltrone inglesi di pelle poste davanti al camino, con in mano un bicchierino di vermut Martini bianco come aperitivo appena preso dal piccolo baretto con il ribaltabile da cui emergevano bicchierini di cristallo e i tanti colori sgargianti delle bottiglie.
Poi si iniziava il pranzo che era veramente una festa di sapori e di ricordi. I cappelletti in brodo erano immancabili per poi seguire con i vari bolliti come cotechino e zampone con purè e fagioloni e spinaci e gli arrosti con le patate al forno.
Per finire oltre al panettone Motta c’era spesso anche un semifreddo di cui il nonno ed anche io eravamo ghiotti: il dolce mattone fatto con crema pasticcera e biscotti Saiwa imbevuti di caffè.
Il pomeriggio passava lento tra la digestione resa lunga dal troppo cibo e dei veri e propri scontri a carte tra gli uomini mentre le donne rimanevano sempre in cucina a sistemare tutto e a pettegolare un po’. I giochi preferiti erano Scala 40, Briscola e Spicinfrin cui spesso giocavo anche io, in coppia con il nonno, che voleva sempre vincere.
Alla fine ognuno se ne andava strapieno di pentolini pieni di resti da riciclare i giorni seguenti poiché la sera di Natale nessuno avrebbe mangiato nulla.
Non c’era spreco, non c’era consumismo, non c’erano regali grandi o costosi. Pensierini fatti con il cuore spesso anche a mano che mostravano l’amore e il rispetto che ognuno aveva verso l’altro.
Anche questo Natale era finito… che peccato! Per me era veramente triste la sera perché aspettavo un anno intero per vivere solo quel momento.
Eppure nessuno ci fermava e il giorno dopo ancora nonni, questa volta paterni, che aprivano la loro casa ai quattro figli e alle relative famiglie. In questo caso avevo anche una cuginetta della mia età con cui chiacchierare.
L’atmosfera era diversa ma sempre festosa. Mia nonna e la mia bisnonna erano impegnate nella loro piccola cucina e tutti gli altri stavano nel salotto davanti al tavolo imbandito per la festa.
Erano famiglie più giovani quelle lì sedute e quindi si creava immancabilmente una sorta di competizione scherzosa sulle squadre di calcio, sulla Ferrari in Formula 1, e su altri avvenimenti che mettevano pepe alla giornata Erano schiamazzi e risate, erano scherzi e giochi di ruolo tra tutte e quattro le famiglie riunite insieme.
La nonna preparava oltre ai cappelletti delle ottime lasagne al forno e tanta carne poiché loro avevano un negozio storico in città proprio di questo genere. All’epoca mangiavo anche io la carne, seppur mai troppo volentieri, però non mi ponevo il dubbio della scelta. Forse ero troppo piccola oppure forse gli animali non erano ancora allevati e uccisi in modo così intensivo e snaturato come avviene oggi.
Non lo so. Certo, a volte, ci penso a questi ricchi pranzi con tanta abbondanza di carne. Allora mi piaceva molto un piatto non proprio carnivoro che si chiamava il “ripieno” perché veniva, ebbene sì, infilato nel collo della gallina ma che non conteneva carne ma solo pane grattato, uova e tantissimo Parmigiano Reggiano. Vegano no, ma un cibo semi vegetariano.
Anche da qui alla sera si andava via con tegamini ricolmi e ci si trovava a casa il 27 con il cibo pronto, solo da scaldare, per almeno quattro giorni fino alla sera del 31 dicembre…
Quanti ricordi questi Natali in famiglia, quanto dolore pensando alle persone che non ci sono più materialmente ma solo nel pensiero. Poi mi dico, tra le lacrime, che sono stata fortunata a vivere in quel periodo, negli anni 70, la mia giovinezza. Erano anni ancora meravigliosi, che oggi rivaluto con tanta nostalgia e rimpianto.
Ricordo i nonni e la mia bisnonna rivedo i loro volti, risento i profumi ancora ben presenti nel mio naso, ascolto la loro voce impressa nella mia memoria e così li sento vivi accanto a me. Non se ne sono mai andati, sono sempre qui e mi abbracciano stretta e mi dicono di essere forte e che loro non mi lasceranno mai, per sempre.
I ricordi arricchiscono la nostra vita, la rendono unica e ci permettono di trasformare la morte e l’abbandono delle persone care in una forza che ci spinge avanti, che ci trascina, che non ci fa arrendere al dolore della perdita.
Un bacio a nonna Margherita e a nonna Angela, al nonno Renato e al nonno Peppino e alla cara bisnonna Teresina.
Silvia Bagni
Grazie per questo racconto, mi hai fatto rivivere i Natali calorosi, gioiosi e, semplici e pieni di amore dalla cara nonna Agata, ancora oggi, ho nostalgia di quei bei tempi trascorsi tutti insieme perché era il vero Natale dal sapore così autentico, allegro e di puro scambio. Grazie con un abbraccio miagoloso...Francesca e Lunar...
Ps. I racconti scaldano il cuore e ci offrono la bellezzal della vita semplice, ricordandoci cos'è davvero importante, e cosa possiamo fare per essere tutti più vicini.