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Il linguaggio del silenzio

Ascolta l'articolo dalla voce di Silvia sul podcast  >>

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Novembre è il mese del silenzio.


Sono lontane le giornate estive con il loro allegro vociare, il canto mattutino degli uccelli, le risate dei bambini sulla spiaggia. Novembre inizia con il giorno dei Morti, quello che ci ricorda come questa fase sia una parte integrante della nostra vita e ci richiama nei cimiteri per portare, in silenzio e contemplazione, il nostro pensiero a chi non è più presente al nostro fianco.


Il silenzio che urla in questo mese è veramente assordante. Eppure c’è un animale che vive tutto l’anno accanto a noi e che, da sempre, ci invita a esercitare l’arte della non parola, ci porta a riflessioni intime, ci apre a un linguaggio basato proprio sui silenzi condivisi. 


Tra un cane e una persona, spesso non serve dire nulla, è come se le parole diventassero superflue, come se tutto scorresse su un piano più sottile, dove bastano uno sguardo, un respiro, un gesto appena accennato. È lì che nasce il vero dialogo: nel silenzio. 


Quell’aria sospesa in cui ci si capisce senza spiegazioni, dove ogni emozione trova la sua strada senza passare dalle parole, è un linguaggio ancestrale, più vicino alla musica che al pensiero, più vicino al cuore che alla logica. Il cane è un maestro di silenzi, non li riempie ma li abita. Sa restare, sa ascoltare, sa appoggiarsi piano come a dire “sono qui”, e in quel gesto c’è tutto: la presenza, la fiducia, la pace. 


A volte mi chiedo se non siano proprio loro, i cani, a ricordarci quanto poco servano le parole per capirsi davvero. Loro ci ascoltano e ci comprendono con il corpo, con l’odore, con la pelle; colgono il tono di una voce prima del suo significato, percepiscono la vibrazione di un’emozione molto prima che arrivi il pensiero. Ci sono giorni in cui torno a casa e non ho voglia di dire niente. Mi siedo, Barone mi raggiunge e si accuccia accanto ai miei piedi. Non pretende nulla, non commenta, non interrompe il flusso dei miei pensieri lontani: semplicemente mi offre il suo silenzio, e quel silenzio diventa rifugio. È come se dicesse: “Non serve spiegare. Ti sento, e basta.” 


In quel momento preciso mi sento capita in un modo che nessun linguaggio umano riesce a restituire. In quell’istante il cane non è solo il nostro compagno, ma un testimone gentile della nostra parte più vulnerabile, l’interlocutore di quell’anima che troppe volte teniamo zitta per paura di non essere compresi dagli altri. 


Convivere con un cane significa imparare a decifrare, a scandire tutto ciò che non si dice, è un dialogo ricco di sfumature, un lessico fatto di pause, di sguardi, di movimenti minimi del corpo. Un orecchio che si muove, un respiro che cambia ritmo, una coda che si ferma per un istante: ogni gesto ha un senso preciso, ogni pausa è un intero racconto di vita. 

Col tempo impari che anche tu puoi comunicare così: con la calma, con la presenza, con il corpo che dice più della voce. È un linguaggio che cura, che ci riporta dentro l’adesso, che ci disintossica dal rumore continuo dei pensieri e delle parole di cui la vita vissuta ci inonda e ci sommerge. 


Se ci pensate noi uomini stiamo molto poco in silenzio, ad ascoltare il nulla. Viviamo con la radio o la televisione accesa, la musica nelle orecchie, le notifiche del cellulare, i bip dei vari elettrodomestici, il rumore del phon, del forno, del frigorifero, nel mio caso del pendolo e dell’orologio a cucù. La mente, anche se non me ne rendo conto, li segue, analizza, cataloga, prende nota, si impegna nel suo compito e mai si placa, mai si riposa, si consuma costantemente. 


Forse allora è proprio questo il segreto più grande di cui ci possono rendere partecipi i nostri cani: ci insegnano ad ascoltare con il cuore e non con la mente, a desiderare quel silenzio quasi come se fosse un alfabeto sconosciuto da apprendere piano piano, senza fretta. Ci insegnano che il silenzio non è mai un vuoto, ma uno spazio aperto in cui l’amore può finalmente respirare, in cui la fiducia mette radici, in cui la verità si mostra senza veli, senza paura dei giudizi. 


In un mondo che ha il terrore del silenzio, loro ci ricordano che è proprio lì che abita la vera sostanza dell’essere. Non serve riempire ogni istante di suoni o di spiegazioni, di musica o di parole: a volte basta esserci, respirare insieme, guardarsi negli occhi, comprendersi. 


E’ proprio in quell’istante che tutto si allinea e capisci che l’amore non ha bisogno di parole, perché è già tutto lì, nel modo in cui ci restiamo accanto, nel modo in cui il silenzio smette di essere assenza e diventa un linguaggio perfetto che ci connette e che ci unisce come nulla altro può fare.

 

Silvia Bagni

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