top of page

Nei loro panni, quello strano giorno in cui io diventai il mio animale... e lui diventò me

Aggiornamento: 31 lug

Ascolta l'articolo dalla voce di Lucia sul podcast  >>

ree


Quando ero giovane, tanti anni fa, amavo leggere i classici della letteratura. In particolare mi affascinava un autore: Franz Kafka. Riprendevo spesso in mano i suoi libri, così diversi da tutti gli altri, gli unici capaci di mettere in dubbio le certezze che, all’epoca, pensavo di avere. 


“Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto…” è l’incipit de La metamorfosi, uno dei suoi racconti più celebri e inquietanti.


Ma Kafka non dev’essere per forza tragico. In questi giorni sonnolenti e accaldati, mi sono chiesta: cosa accadrebbe se, al posto di un insetto, io mi risvegliassi nel corpo del mio animale e lui nel mio?


Proviamo a giocare con l’idea della trasformazione, in chiave gioiosa e ironica, chiedendoci: se davvero ci scambiassimo la vita con i nostri animali, cosa scopriremmo di loro e cosa loro di noi?


Quindi, una mattina qualunque mi sveglio, ma non sono più io. Non sono più una bipede, non ho il telefono accanto a me come sempre, né la scadenza della bolletta da controllare. Sono pelosa, con dei baffi, una coda e un’insana voglia di abbaiare (o forse miagolare): sono diventata il mio animale.


Sul letto, disteso al mio posto, c’è lui. O meglio: ci sono io, ma con dentro lui. Ha un’espressione assonnata e una strana grazia nello stiracchiarsi tra le lenzuola. Mi guarda come se fosse tutto normale e poi, senza dire una parola, si alza, s’infila le mie ciabatte e comincia a vivere la mia vita.


Chi se la caverebbe meglio durante questa strana giornata? Il cane, il gatto o noi umani nei loro panni?


Il gatto, diventato umano

Il gatto si sveglia nel corpo umano e ha subito un’idea chiara: non ha mai chiesto nulla di tutto ciò che gli sta accadendo, e già questo lo convince poco. Si alza tardi, si sgranchisce perplesso, guarda l’agenda e la critica: impegno dopo impegno, sono incredibilmente troppi. Prova a lavorare, ma non riesce a concentrarsi, s’interrompe ogni qual volta che qualcosa lo infastidisce: rumori, luci, parole inutili. Non capisce perché dovrebbe rispondere subito alle email, anzi, non capisce proprio perché le email esistano. Partecipa a una riunione su Zoom, poi litiga con la stampante. Si stupisce del numero di impegni, suoni e preoccupazioni che affollano le nostre giornate. Quindi va alla ricerca di un angolo tranquillo e appartato dove sedersi e guardare tutto e tutti con aria lievemente sarcastica, sul suo piedistallo dorato, distante dalla folla degli altri umani.

Quando incontra altre persone, però, le osserva con attenzione. Non è ostile, ma non concede nulla di sé subito. Sorride solo a chi comprende il suo silenzio, a chi gli lascia lo spazio necessario per i suoi tempi. A fine giornata si siede accanto alla finestra: non ha parlato molto, ma ha visto tutto, e ha capito benissimo chi siamo noi e che vita facciamo.

Il gatto umano non approva la nostra fretta, l’invadenza emotiva degli estranei, né il rumore continuo dell’ambiente che lo circonda. Per lui ogni cosa ha un ritmo interno, ogni relazione va scelta, ogni pensiero va custodito con cura e rispetto. Nel corpo umano, il gatto mantiene la sua essenza: selettivo, indipendente, fine osservatore.


E io, se fossi il mio gatto?

Scoprirei il piacere di scegliere liberamente dove stare e cosa fare, perché nessuno si aspetta nulla da me. Potrei ignorare chi non mi piace, ascoltare solo ciò che m’interessa, dormire quando ne ho bisogno. Capirei la libertà di non dover rispondere a nessuna pressione, di osservare gli altri senza fretta, di difendere con fierezza il mio spazio e le mie opinioni. Riuscirei a essere, senza dover fare, felice di vivere senza dover recitare una parte prestabilita, indossando una maschera.


Il cane, diventato umano

Il cane, entusiasta per natura e affettuosamente sopra le righe, si sveglia nel suo nuovo corpo umano con gli occhi spalancati di felicità. Si veste (usando abbinamenti improbabili, visto che vede in bianco e nero), si guarda le mani: sorpresa! Ha il pollice opponibile e può finalmente aprirsi la dispensa da solo, scegliere cosa mangiare e soprattutto deciderne la quantità! (Tutto quello che riesce a digerire, ovviamente.)

Parte per il lavoro, anche se non ha ancora capito bene cos’è, con la stessa gioia di chi va al parco. Sull’autobus saluta tutti come se fosse in area giochi, arriva in ritardo per eccesso d’entusiasmo, cerca carezze e apprezzamenti dal capo e dai colleghi. Parla con gli sconosciuti, offre un caffè a chi sembra triste. In riunione interrompe spesso per elogiare i colleghi e, se qualcuno sbaglia, lo consola con un sorriso largo e sincero.

Poi però si stanca. Non capisce perché non si possa fare una pausa ogni due ore per una corsa all’aria aperta. È deluso perché nessuno salta di gioia quando lui entra in ufficio. La sera si addormenta felice, ma teme di non aver concluso nulla, anche se in realtà ha cambiato l’umore di chiunque abbia incrociato, ma questo, per lui, è scontato. Non gli dà l’importanza che merita.

Il cane umano vive tutto al massimo: è emozione pura. Vuole contatto, conferme, condivisione. Non capisce il distacco, l’ansia da prestazione, il multitasking. Non comprende il nostro costante bisogno di controllo, di distacco, di eliminare ogni “tempo morto” dalla nostra vita, non capisce la nostra ansia da prestazione, ogni emozione per lui è autentica, ogni relazione che crea è prioritaria.

Nel corpo del mio cane, proverei la passione di vivere ogni cosa al massimo, inspirando l’aria che mi circonda con un’attenzione e una cura che da umana non avevo più. Mi emozionerei per una pallina, per uno snack, per uno sguardo, per un abbraccio o una carezza. Imparerei l’arte dell’essere presente, dell’annusare bene e a lungo prima di giudicare qualcuno che non conosco, del girovagare solo per il gusto di farlo, del gioire delle piccole cose, che prima nemmeno notavo, che la vita tutti i giorni ci prospetta.


Sono due modi diversi di esistere, sono due mondi solo apparentemente distanti. Il cane, diventando umano, si esaurisce nel suo dare amore senza filtri. Il gatto si protegge dietro la selettività, mantenendo uno spazio mentale. Entrambi portano però con sé e verso di noi, un dono, qualcosa che a noi spesso manca: il cane ci ricorda la bellezza dell’entusiasmo gratuito; il gatto, il valore del confine e dell’osservazione.


Cani e gatti, forse, si adatterebbero sorprendentemente bene alle nostre vite. Ma noi riusciremmo ad adattarci alle loro? Quanto di loro portiamo già dentro di noi e quanto potremmo ancora imparare, se solo li osservassimo meglio, li vivessimo con uno spirito più aperto, con la volontà di conoscerli veramente, nel loro intimo più profondo?

Siamo sicuri di essere noi a educare i nostri animali? A guardare bene, forse sono loro che ci stanno portando come dono un’educazione spirituale ed emotiva. Ce ne accorgiamo quando:

  • iniziamo a capire che un loro certo sguardo significa qualcosa di preciso;

  • cambiamo percorso per andare dove loro preferiscono e non dove noi vorremmo andare;

  • organizziamo le pause e gli orari in base ai loro tempi e ai loro bisogni;

  • troviamo tempo di qualità da condividere insieme perché ce lo chiedono loro e perché fa bene anche a noi.


Li abbiamo “umanizzati” o ci siamo noi “animalizzati”? Forse, semplicemente, ci stiamo ascoltando di più reciprocamente e questo ci apre ai nuovi mondi abitati da queste creature così diverse da noi, ma così ricche di significati, creature capaci, senza parole ma con lo sguardo, di insegnarci a vivere meglio la nostra esistenza, a renderla più completa e ricca di significati immateriali.


Se domani il tuo animale vivesse la tua giornata, cosa saprebbe fare meglio di te? Ad esempio potrebbe:

  • Riconoscere subito chi gli è simpatico a pelle (e a naso);

  • Dormire con gusto senza sentirsi in colpa;

  • Ignorare le notifiche del cellulare, i richiami dei capi e le urgenze altrui;

  • Concedersi una pausa sul lavoro solo per il gusto di ammirare un tramonto o un fiore;

  • Essere sempre coerente con se stesso e con i propri principi.


E se per un attimo fossi tu al suo posto?

Chissà, forse potresti ritrovare qualcosa che avevi dimenticato: il piacere delle cose semplici, il valore dell’ascolto, la forza della presenza. 


A volte basta poco per vivere meglio e i nostri animali, in silenzio, ce lo insegnano ogni giorno se solo sappiamo prestare loro attenzione.


Silvia Bagni

Comments


bottom of page